Parlare in pubblico… bastasse la postura!
La comunicazione, si sa, è uno dei mondi più soggetti a mode. Basti pensare all'effetto che l'uscita di un nuovo social o anche di un semplice upgrade di quelli esistenti genera, spostando le masse non solo degli utenti, ma anche e soprattutto delle aziende più lungimiranti e, di conseguenza, di noi agenzie di comunicazione.
Grazie al progetto formativo per realtà aziendali Kifor.me, di cui OVOstudio è ideatore e sostenitore, ci siamo sempre più avvicinati al complesso mondo della formazione, notando come la moda non risparmi neppure esso.
Ecco che parole come team building, soft skills e leadership vengono usate e abusate, snaturandosi quasi dell'importanza che possono avere se investite del loro valore assoluto. Lo abbiamo testato sulla nostra pelle, con quella che è forse la parola più inflazionata nel mondo della formazione degli ultimi anni: public speaking.
Come per tutti i settori, ma verrebbe da dire come per tutte le cose che riguardano la vita professionale e personale di noi individui, ci sono due possibilità di approccio a una nuova sfida: l’approccio approssimativo e l'approccio intelligente.
Il primo, basandosi sul presupposto fondamentale secondo il quale per monetizzare nel modo più semplice possibile tutto sia lecito, soprattutto la mediocrità, da un punto di vista formativo si trasforma nel proliferare di corsi vuoti di contenuto, sterili panoramiche o approssimativi riassunti di ciò che si può aver letto nel libro del luminare di turno o, peggio ancora, di ciò che si trova online.
Il secondo, basandosi sul presupposto contrario che sarà sempre e solo la qualità a differenziare e a premiare il lavoro, da un punto di vista formativo si traduce in approfondimenti mirati, customizzati sulle esigenze del singolo, senza vacui copia-incolla, puntando al raggiungimento di un miglioramento tangibile.
A questa seconda soluzione puntiamo da sempre nella scelta dei corsi ai quali partecipare, ancor di più nella scelta dei corsi da proporre alle aziende. L'enorme vantaggio sta nella possibilità di selezionare accuratamente le persone con le quali lavorare e usufruire così della bellezza di un corso soddisfacente sotto tutti i punti di vista.
Per tornare al public speaking, in questi mesi e anni abbiamo sentito qualsiasi soluzione proposta per il miglioramento proprio di questa skill, che tanto accomuna professionisti di diversissima natura. Se vi siete fatti convincere dai guru del momento che esso sia esclusivamente fatto di attenzione per la postura e di non utilizzo di parole negative come "non" o "ma", l'approccio approssimativo ha colpito nel segno. Nel mese di maggio abbiamo avuto la straordinaria possibilità di partecipare a due corsi diversi di public speaking, il primo completamente fondato sull’utilizzo della voce, il secondo sulla strutturazione dei contenuti per l’efficacia del discorso.
Cosa ci sarà mai da dire sulla voce, penserete voi.
Lo stesso pensiero che scetticamente abbiamo fatto noi all’alba del corso svolto. Pensiero completamente ribaltato al termine di esso. Incredibile come le potenzialità di un discorso, da tenere a due come a 100 persone, possa cambiare al modificarsi consapevole dei cosiddetti “colori” della voce, altrettanto incredibile la difficoltà che tale passaggio comporta per l’individuo. Non si tratta semplicemente di un tono basso o alto di voce, di velocità o lentezza, ma di un mix per il cui controllo forse non basterà una vita di prove sul campo.
Allo stesso modo ci ha fatto riflettere molto come la scaletta del proprio discorso possa determinarne la buona riuscita, come la gestione dell’emozione sia una delle difficoltà più grandi, che unisce novelli ed esperti, come le tecniche a disposizione siano moltissime e soprattutto come si tratti più di tecniche di gestione della propria mente, che di gestione del discorso reale.
Lo spunto comune che ci siamo portati a casa dalla partecipazione a queste giornate di corso è la provocazione che desideriamo lanciarvi per questo nuovo inizio del mese: siamo davvero così allenati a vincere? Ipotizziamo che la nostra vittoria sia in questo caso il realizzare un discorso convincente, uno di quei discorsi in grado di portare le persone dalla propria parte e soprattutto in grado di emozionarle, creando quell’empatia che nulla più riuscirà a spezzare. Siamo realmente allenati a portare a compimento quel discorso nell’ottica della nostra vittoria?
La bellezza dello sport agonistico, qualsiasi esso sia, sta nel fatto che il primo presupposto per vincere è allenarsi a immaginare la propria vittoria. Questo si traduce non soltanto in un allenamento fisico mirato all’obiettivo, ma nel ripassare costantemente la strategia di gara fino a prefigurare il risultato finale. Gli sportivi sono allenati ad immaginare tutto, dal momento in cui in spogliatoio ci si prepara alla gara infilandosi la divisa, alla fase di riscaldamento, fino allo scontro vero e proprio, dove si immagina perfino il momento in cui si potrà approfittare di una situazione imprevista.
Certo, insieme alla gara può arrivare anche una sconfitta, ma, se ci si sarà allenati a vincere, la sconfitta subita, per quanto pesante, verrà trasformata dalla mente in un’occasione di nuova vittoria. Uscendo dalle nostre amate metafore sportive, un discorso di successo deve essere immaginato come tale nei minimi particolari e su questa immaginazione deve essere costruito. Tutto contribuisce a renderlo per l’appunto “di successo” e più saranno dettagliati la nostra immaginazione e il nostro allenamento più il risultato sarà assicurato, anche nel caso di una sconfitta.
Per dirla con Oscar Wilde “Non esiste una seconda possibilità di fare una buona prima impressione”, quindi per quanta fatica possa comportare, infiliamoci le scarpe giuste e la divisa del successo e alleniamoci per la nostra quotidiana vittoria.